Papa Francesco: se un politico è rigido, “mi dico subito che è malato”. “Queste persone avvertono inconsciamente di essere ‘psicologicamente malate'” (2024)

Non lo sanno consciamente, ma lo sentono

Già nel 2020 si notava su PsyPolitics nell’articolo Libertà cyber-psichedelica? (2020), senza conoscere o aver preso in considerazione il testo del 2017 adesso qui di seguito presentato in traduzione italiana su PsyPolitics, come in riferimento all’ “ormai quasi onnipresente discorso della ‘dissoluzione dell’ego” nel contesto del cosiddetto rinascimento psichedelico, “persino il Santo Padre sembra parlare frequentemente in termini non solo spirituali cattolici ma spesso psicoanalitici, proprio in riferimento all’ ‘ego’.

Il seguente passaggio parla di politica e di psicodiscipline, incluse la psichiatria e soprattutto la psicoanalisi di Sigmund Freud, ma anche di uno dei più famosi test proiettivi usato per selezionare il personale, quello delle macchie d’inchiostro dello psichiatra svizzero, che si formò sotto Bleuler, Hermann Rorschach. 

Da notare come quello che è probabilmente il secondo più famoso, o comunque un altro famosissimo, test proiettivo dopo quello delle macchie di inchiostro di Rorschach è il TAT, Tematic Apperception Test – il cui manuale fu per anni un best-seller di Harvard – sviluppato per studiare la personalità a Boston dagli psicoanalisti junghiani (si veda anche Jung su PsyPolitics) Murray e Morgan. Di questi autori abbiamo già trattato su PsyPolitics in relazione anche agli allucinogeni, visto che fu proprio Murray a permettere gli esperimenti di Leary e soci con gli allucinogeni ad Harvard negli anni ’60 del secolo scorso.

È tratto dal libro intervista del 2017 di Papa Francesco con Dominique Wolton dal titolo “Politica e Società” (copertina orginale in alto). Nell’originale francese: Pape François avec Dominique Wolton, “Politique et société – Rencontre avec Dominique Wolton”, Paris, Éditions de l’Observatoire, 2017. In Italiano, Papa Francesco con Dominique Wolton, “Dio è un poeta. Un dialogo inedito sulla politica e la società”, traduzione (non controllata o usata qui su PsyPolitics) di Elena Sacchini e Andrea Zucchetti, Milano, Rizzoli, 2018.

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“Dominique Wolton: Concordo. Riprendiamo il discorso sul dialogo interreligioso. Volevate forse aggiungere qualcosa in merito al rigorismo?

Papa Francesco: Ogni rigidità nasconde un’incapacità di comunicare. Ho sempre notato che… Pensiamo ai preti rigidi che temono la comunicazione, e ai politici rigidi… Si tratta di una sorta di fondamentalismo. Quando mi imbatto in una persona rigida, specialmente se giovane, mi dico subito che è malata. La loro ricerca è quella della sicurezza. A tal proposito, vi racconto un episodio. Quando nel 1972 ero maestro dei novizi, seguivamo i candidati che aspiravano ad entrare nella Compagnia per uno o due anni. Frequentavano l’università e nei fine settimana venivano da noi. Al noviziato praticavano sport e dialogavano con il loro direttore spirituale, ma con me non avevano un rapporto diretto; non mi consideravano neanche, non ero una figura di spicco per loro. 

Facevano colloqui e venivano sottoposti a test piuttosto approfonditi, come i test di Rorschach, condotti da un team qualificato, incluso un psichiatra cattolico e credente che lavorava lì. Io accompagnavo questi giovani ai test. Ricordo uno in particolare, visibilmente rigido, ma dotato di grandi capacità intellettuali, che ritenevo di alto livello. C’erano altri meno brillanti, dei quali dubitavo che potessero superare la selezione. Pensavo sarebbero stati rifiutati per le loro difficoltà, ma furono ammessi per la loro capacità di crescere e avere successo. E quando arrivò il risultato del test di questo primo studente, la risposta fu immediatamente negativa. ”Ma perché? È così intelligente, ha tante qualità.” – “Ha un problema,” mi spiegarono, “è un po’ impacciato, artificioso in alcune cose, rigido.” – “E perché è così?” – “Perché non è sicuro di sé.”

Si percepisce che queste persone avvertono inconsciamente di essere “psicologicamente malate”. Non lo sanno consciamente, ma lo sentono. E quindi cercano strutture solide a cui aggrapparsi nella vita. Diventano poliziotti, si arruolano nell’esercito o nella Chiesa, istituzioni forti, per difendersi. Svolgono bene il loro lavoro, ma non appena si sentono al sicuro, la loro malattia emerge inconsciamente. Ed è allora che sorgono i problemi. E ho chiesto: “Ma dottore, come si spiega? Non capisco.” E mi fu risposto: “Non vi siete mai chiesti perché ci sono poliziotti torturatori? Questi giovani, quando arrivavano, erano ragazzi coraggiosi, buoni, ma malati. Poi hanno acquisito sicurezza, e la loro malattia è venuta alla luce.”

Io ho paura della rigidità. Preferisco un giovane disordinato, con problemi normali, che si arrabbia… perché tutte queste contraddizioni lo aiuteranno a crescere. Abbiamo già parlato delle differenze tra argentini e francesi… Gli argentini sono molto legati alla psicoanalisi, è vero.A Buenos Aires c’è un quartiere molto chic, chiamato Villa Freud, dove si trovano tutti gli psicoanalisti.

Dominique Wolton: Questo è un disastro. Non bisognerebbe mai riunire troppi psicoanalisti, altrimenti diventano pretenziosi. Questo non toglie che la psicoanalisi sia stata una delle maggiori rivoluzioni intellettuali e culturali del XX secolo!

Papa Francesco: Non sono tutti uguali. Alcuni sono così. Ma ne ho conosciuti altri che erano molto umani, aperti all’umanesimo e al dialogo con altre discipline, inclusa la medicina… 

Dominique Wolton: Sì, certo! Quando sono medici, spesso sono più competenti, perché conoscono l’arte della cura. Lo so da tempo, grazie al mio ambiente immediato. E invece quando sono intellettuali… 

Papa Francesco: Quando dialogano con la scienza… per esempio, conosco una psicoanalista molto capace, una donna di qualità, sui cinquant’anni. Lavora a Buenos Aires, ma si reca tre volte all’anno per tenere lezioni, una settimana in Spagna e una in Germania. È affascinante, ha trovato un modo per arricchire l’analisi psicoanalitica con l’omeopatia e molte altre discipline. Quelli che ho conosciuto mi hanno aiutato molto in un momento della mia vita in cui avevo bisogno di consulenza. Ho consultato una psicoanalista ebrea. Per sei mesi, sono andato da lei una volta a settimana per chiarire alcune questioni. È stata molto brava, estremamente professionale sia come medico che come psicoanalista, rimanendo sempre nel suo ruolo. E poi, un giorno, quando era prossima alla morte, mi ha chiamato. Non per i sacramenti, essendo ebrea, ma per un dialogo spirituale. Una persona davvero buona. Per sei mesi, mi ha aiutato molto, avevo già 42 anni all’epoca.

Dominique Wolton: Tutti possono aver bisogno di un dialogo del genere, con uno psichiatra o uno psicoanalista, per prendere distanza dalla propria infelicità. Quando questa professione viene esercitata bene, si avvicina a quella del prete. Il paragone con il prete esiste ed è vero che un buon psichiatra è spesso una persona che assorbe il male altrui. Il terapeuta [lo “strizzacervelli”, il colloquiale “le psy” nell’originale francese] guarisce gli altri, sentendo il loro dolore, proprio come fa il prete. È una prossimità psichica

Papa Francesco: Accompagnare è un processo difficile.”

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Cite this article as: Federico Soldani, "Papa Francesco: se un politico è rigido, “mi dico subito che è malato”. “Queste persone avvertono inconsciamente di essere ‘psicologicamente malate'” (2024)," in PsyPolitics, January 8, 2024, https://psypolitics.org/2024/01/08/papa-francesco-se-un-politico-e-rigido-mi-dico-subito-che-e-malato-queste-persone-avvertono-inconsciamente-di-essere-psicologicamente-malate-2024/.

Last Updated on January 11, 2024 by Federico Soldani

One thought on “Papa Francesco: se un politico è rigido, “mi dico subito che è malato”. “Queste persone avvertono inconsciamente di essere ‘psicologicamente malate'” (2024)

  1. degno di nota anche questo discorso riportato nel libro intervista in cui la metafora della malattia viene ripetutamente usata per quindici diverse “malattie”, inclusa persino “la malattia dell’“alzheimer spirituale”:

    PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI DELLA CURIA ROMANA

    DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

    Sala Clementina
    Lunedì, 22 dicembre 2014

    https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2014/december/documents/papa-francesco_20141222_curia-romana.html

    La Curia Romana e il Corpo di Cristo

    “Tu sei sopra i cherubini, tu che hai cambiato la miserabile condizione del mondo quando ti sei fatto come noi”(Sant’Atanasio)

    Cari fratelli,

    Al termine dell’Avvento ci incontriamo per i tradizionali saluti. Tra qualche giorno avremo la gioia di celebrare il Natale del Signore; l’evento di Dio che si fa uomo per salvare gli uomini; la manifestazione dell’amore di Dio che non si limita a darci qualcosa o a inviarci qualche messaggio o taluni messaggeri, ma dona a noi sé stesso; il mistero di Dio che prende su di sé la nostra condizione umana e i nostri peccati per rivelarci la sua vita divina, la sua grazia immensa e il suo perdono gratuito. E’ l’appuntamento con Dio che nasce nella povertà della grotta di Betlemme per insegnarci la potenza dell’umiltà. Infatti, il Natale è anche la festa della luce che non viene accolta dalla gente “eletta” ma dalla gente povera e semplice che aspettava la salvezza del Signore.

    Innanzitutto, vorrei augurare a tutti voi – Collaboratori, fratelli e sorelle, Rappresentanti pontifici sparsi per il mondo – e a tutti i vostri cari un santo Natale e un felice Anno Nuovo. Desidero ringraziarvi cordialmente per il vostro impegno quotidiano al servizio della Santa Sede, della Chiesa Cattolica, delle Chiese particolari e del Successore di Pietro.

    Essendo noi persone, e non numeri o soltanto denominazioni, ricordo in maniera particolare coloro che, durante questo anno, hanno terminato il loro servizio per raggiunti limiti di età o per aver assunto altri ruoli oppure perché sono stati chiamati alla Casa del Padre. Anche a tutti loro e ai loro famigliari vanno il mio pensiero e la mia gratitudine.

    Desidero insieme a voi elevare al Signore un vivo e sentito ringraziamento per l’anno che ci sta lasciando, per gli eventi vissuti e per tutto il bene che Egli ha voluto generosamente compiere attraverso il servizio della Santa Sede, chiedendogli umilmente perdono per le mancanze commesse “in pensieri, parole, opere e omissioni”.

    E partendo proprio da questa richiesta di perdono, vorrei che questo nostro incontro e le riflessioni che condividerò con voi diventassero, per tutti noi, un sostegno e uno stimolo a un vero esame di coscienza per preparare il nostro cuore al Santo Natale.

    Pensando a questo nostro incontro mi è venuta in mente l’immagine della Chiesa come il Corpo mistico di Gesù Cristo. È un’espressione che, come ebbe a spiegare il Papa Pio XII, «scaturisce e quasi germoglia da ciò che viene frequentemente esposto nella Sacra Scrittura e nei Santi Padri»[1]. Al riguardo san Paolo scrisse: «Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo» (1 Cor12,12)[2].

    In questo senso il Concilio Vaticano II ci ricorda che «nella struttura del corpo mistico di Cristo vige una diversità di membri e di uffici. Uno è lo Spirito, il quale per l’utilità della Chiesa distribuisce la varietà dei suoi doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei ministeri (cfr1 Cor12,1-11)»[3]. Perciò «Cristo e la Chiesa formano il “Cristo totale” – Christus totus -. La Chiesa è una con Cristo»[4].

    E’ bello pensare alla Curia Romana come a un piccolo modello della Chiesa, cioè come a un “corpo” che cerca seriamente e quotidianamente di essere più vivo, più sano, più armonioso e più unito in sé stesso e con Cristo.

    In realtà, la Curia Romana è un corpo complesso, composto da tanti Dicasteri, Consigli, Uffici, Tribunali, Commissioni e da numerosi elementi che non hanno tutti il medesimo compito, ma sono coordinati per un funzionamento efficace, edificante, disciplinato ed esemplare, nonostante le diversità culturali, linguistiche e nazionali dei suoi membri[5].

    Comunque, essendo la Curia un corpo dinamico, essa non può vivere senza nutrirsi e senza curarsi. Difatti, la Curia – come la Chiesa – non può vivere senza avere un rapporto vitale, personale, autentico e saldo con Cristo[6]. Un membro della Curia che non si alimenta quotidianamente con quel Cibo diventerà un burocrate (un formalista, un funzionalista, un mero impiegato): un tralcio che si secca e pian piano muore e viene gettato via. La preghiera quotidiana, la partecipazione assidua ai Sacramenti, in modo particolare all’Eucaristia e alla Riconciliazione, il contatto quotidiano con la Parola di Dio e la spiritualità tradotta in carità vissuta sono l’alimento vitale per ciascuno di noi. Che sia chiaro a tutti noi che senza di Lui non possiamo fare nulla (cfrGv15,5).

    Di conseguenza, il rapporto vivo con Dio alimenta e rafforza anche la comunione con gli altri, cioè tanto più siamo intimamente congiunti a Dio tanto più siamo uniti tra di noi, perché lo Spirito di Dio unisce e lo spirito del maligno divide.

    La Curia è chiamata a migliorarsi, a migliorarsi sempre e a crescere in comunione, santità e sapienza per realizzare pienamente la sua missione[7]. Eppure essa, come ogni corpo umano, è esposta anche alle malattie, al malfunzionamento, all’infermità. E qui vorrei menzionare alcune di queste probabili malattie, “malattie curiali”. Sono malattie più abituali nella nostra vita di Curia. Sono malattie e tentazioni che indeboliscono il nostro servizio al Signore. Credo che ci aiuterà il “catalogo” delle malattie – sull’esempio dei Padri del deserto, che facevano questi cataloghi – di cui parliamo oggi: ci aiuterà a prepararci al Sacramento della Riconciliazione, che sarà un bel passo di tutti noi per prepararci al Natale.

    1. La malattia del sentirsi “immortale”, “immune” o addirittura “indispensabile”, trascurando i necessari e abituali controlli. Una Curia che non si autocritica, che non si aggiorna, che non cerca di migliorarsi è un corpo infermo. Un’ordinaria visita ai cimiteri ci potrebbe aiutare a vedere i nomi di tante persone, delle quale alcuni forse pensavano di essere immortali, immuni e indispensabili! È la malattia del ricco stolto del Vangelo che pensava di vivere eternamente (cfrLc 12,13-21), e anche di coloro che si trasformano in padroni e si sentono superiori a tutti e non al servizio di tutti. Essa deriva spesso dalla patologia del potere, dal “complesso degli Eletti”, dal narcisismo che guarda appassionatamente la propria immagine e non vede l’immagine di Dio impressa sul volto degli altri, specialmente dei più deboli e bisognosi[8]. L’antidoto a questa epidemia è la grazia di sentirci peccatori e di dire con tutto il cuore: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc17,10).

    2. La malattia del “martalismo” (che viene da Marta), dell’eccessiva operosità: ossia di coloro che si immergono nel lavoro, trascurando, inevitabilmente, “la parte migliore”: il sedersi ai piedi di Gesù (cfrLc10,38-42). Per questo Gesù ha chiamato i suoi discepoli a “riposarsi un po’” (cfrMc6,31), perché trascurare il necessario riposo porta allo stress e all’agitazione. Il tempo del riposo, per chi ha portato a termine la propria missione, è necessario, doveroso e va vissuto seriamente: nel trascorrere un po’ di tempo con i famigliari e nel rispettare le ferie come momenti di ricarica spirituale e fisica; occorre imparare ciò che insegna il Qoèlet: che “c’è un tempo per ogni cosa” (cfr 3,1).

    3. C’è anche la malattia dell’“impietrimento” mentale e spirituale: ossia di coloro che posseggono un cuore di pietra e la “testa dura” (cfrAt7,51); di coloro che, strada facendo, perdono la serenità interiore, la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando “macchine di pratiche” e non “uomini di Dio” (cfrEb3,12). È pericoloso perdere la sensibilità umana necessaria per piangere con coloro che piangono e gioire con coloro che gioiscono! È la malattia di coloro che perdono “i sentimenti di Gesù” (cfrFil2,5) perché il loro cuore, con il passare del tempo, si indurisce e diventa incapace di amare incondizionatamente il Padre e il prossimo (cfrMt 22, 34-40). Essere cristiano, infatti, significa “avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil2,5), sentimenti di umiltà e di donazione, di distacco e di generosità[9].

    4. La malattia dell’eccessiva pianificazione e del funzionalismo: quando l’apostolo pianifica tutto minuziosamente e crede che facendo una perfetta pianificazione le cose effettivamente progrediscano, diventando così un contabile o un commercialista. Preparare tutto bene è necessario, ma senza mai cadere nella tentazione di voler rinchiudere e pilotare la libertà dello Spirito Santo, che rimane sempre più grande, più generosa di ogni umana pianificazione (cfr Gv 3,8). Si cade in questa malattia perché «è sempre più facile e comodo adagiarsi nelle proprie posizioni statiche e immutate. In realtà, la Chiesa si mostra fedele allo Spirito Santo nella misura in cui non ha la pretesa di regolarlo e di addomesticarlo – addomesticare lo Spirito Santo! – … Egli è freschezza, fantasia, novità»[10].

    5. La malattia del cattivo coordinamento: quando le membra perdono la comunione tra di loro e il corpo smarrisce la sua armoniosa funzionalità e la sua temperanza, diventando un’orchestra che produce chiasso, perché le sue membra non collaborano e non vivono lo spirito di comunione e di squadra. Quando il piede dice al braccio: “non ho bisogno di te”, o la mano alla testa: “comando io”, causando così disagio e scandalo.

    6. C’è anche la malattia dell’“alzheimer spirituale”: ossia la dimenticanza della propria storia di salvezza, della storia personale con il Signore, del «primo amore» (Ap 2,4). Si tratta di un declino progressivo delle facoltà spirituali che in un più o meno lungo intervallo di tempo causa gravihandicapalla persona facendola diventare incapace di svolgere alcuna attività autonoma, vivendo uno stato di assoluta dipendenza dalle sue vedute spesso immaginarie. Lo vediamo in coloro che hanno perso la memoria del loro incontro con il Signore; in coloro che non hanno il senso “deuteronomico” della vita; in coloro che dipendono completamente dal loro presente, dalle loro passioni, capricci e manie; in coloro che costruiscono intorno a sé muri e abitudini diventando, sempre di più, schiavi degli idoli che hanno scolpito con le loro stesse mani.

    7. La malattia della rivalità e della vanagloria[11]: quando l’apparenza, i colori delle vesti e le insegne di onorificenza diventano l’obiettivo primario della vita, dimenticando le parole di san Paolo: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil 2,3-4). È la malattia che ci porta ad essere uomini e donne falsi e a vivere un falso misticismo e un falso “quietismo”. Lo stesso San Paolo li definisce «nemici della Croce di Cristo» perché «si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra» (Fil 3,18.19).

    8. La malattia della schizofrenia esistenziale. E’ la malattia di coloro che vivono una doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli accademici non possono colmare. Una malattia che colpisce spesso coloro che, abbandonando il sevizio pastorale, si limitano alle faccende burocratiche, perdendo così il contatto con la realtà, con le persone concrete. Creano così un loro mondo parallelo, dove mettono da parte tutto ciò che insegnano severamente agli altri e iniziano a vivere una vita nascosta e sovente dissoluta. La conversione è alquanto urgente e indispensabile per questa gravissima malattia (cfr Lc 15,11-32).

    9. La malattia delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi. Di questa malattia ho già parlato tante volte, ma mai abbastanza. E’ una malattia grave, che inizia semplicemente, magari solo per fare due chiacchiere, e si impadronisce della persona facendola diventare “seminatrice di zizzania” (come satana), e in tanti casi “omicida a sangue freddo” della fama dei propri colleghi e confratelli. È la malattia delle persone vigliacche, che non avendo il coraggio di parlare direttamente parlano dietro le spalle. San Paolo ci ammonisce: «Fate tutto senza mormorare e senza esitare, per essere irreprensibili e puri» (Fil2,14-15). Fratelli, guardiamoci dal terrorismo delle chiacchiere!

    10. La malattia di divinizzare i capi. E’ la malattia di coloro che corteggiano i Superiori, sperando di ottenere la loro benevolenza. Sono vittime del carrierismo e dell’opportunismo, onorano le persone e non Dio (cfr Mt 23,8-12). Sono persone che vivono il servizio pensando unicamente a ciò che devono ottenere e non a quello che devono dare. Persone meschine, infelici e ispirate solo dal proprio fatale egoismo (cfr Gal 5,16-25). Questa malattia potrebbe colpire anche i Superiori quando corteggiano alcuni loro collaboratori per ottenere la loro sottomissione, lealtà e dipendenza psicologica, ma il risultato finale è una vera complicità.

    11. La malattia dell’indifferenza verso gli altri. Quando ognuno pensa solo a sé stesso e perde la sincerità e il calore dei rapporti umani. Quando il più esperto non mette la sua conoscenza al servizio dei colleghi meno esperti. Quando si viene a conoscenza di qualcosa e la si tiene per sé invece di condividerla positivamente con gli altri. Quando, per gelosia o per scaltrezza, si prova gioia nel vedere l’altro cadere invece di rialzarlo e incoraggiarlo.

    12. La malattia della faccia funerea, ossia delle persone burbere e arcigne, le quali ritengono che per essere seri occorra dipingere il volto di malinconia, di severità e trattare gli altri – soprattutto quelli ritenuti inferiori – con rigidità, durezza e arroganza. In realtà, la severità teatrale e il pessimismo sterile[12] sono spesso sintomi di paura e di insicurezza di sé. L’apostolo deve sforzarsi di essere una persona cortese, serena, entusiasta e allegra che trasmette gioia ovunque si trova. Un cuore pieno di Dio è un cuore felice che irradia e contagia con la gioia tutti coloro che sono intorno a sé: lo si vede subito! Non perdiamo dunque quello spirito gioioso, pieno di humor, e persino autoironico, che ci rende persone amabili, anche nelle situazioni difficili[13]. Quanto bene ci fa una buona dose di sano umorismo! Ci farà molto bene recitare spesso la preghiera di san Thomas More[14]: io la prego tutti i giorni, mi fa bene.

    13. La malattia dell’accumulare: quando l’apostolo cerca di colmare un vuoto esistenziale nel suo cuore accumulando beni materiali, non per necessità, ma solo per sentirsi al sicuro. In realtà, nulla di materiale potremo portare con noi, perché “il sudario non ha tasche” e tutti i nostri tesori terreni – anche se sono regali – non potranno mai riempire quel vuoto, anzi lo renderanno sempre più esigente e più profondo. A queste persone il Signore ripete: «Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo … Sii dunque zelante e convertiti» (Ap3,17.19). L’accumulo appesantisce solamente e rallenta il cammino inesorabilmente! E penso a un aneddoto: un tempo, i gesuiti spagnoli descrivevano la Compagnia di Gesù come la “cavalleria leggera della Chiesa”. Ricordo il trasloco di un giovane gesuita che, mentre caricava su di un camion i suoi tanti averi: bagagli, libri, oggetti e regali, si sentì dire, con un saggio sorriso, da un vecchio gesuita che lo stava ad osservare: “Questa sarebbe la ‘cavalleria leggera della Chiesa’?”. I nostri traslochi sono un segno di questa malattia.

    14. La malattia dei circoli chiusi, dove l’appartenenza al gruppetto diventa più forte di quella al Corpo e, in alcune situazioni, a Cristo stesso. Anche questa malattia inizia sempre da buone intenzioni ma con il passare del tempo schiavizza i membri diventando un cancro che minaccia l’armonia del Corpo e causa tanto male – scandali – specialmente ai nostri fratelli più piccoli. L’autodistruzione o il“fuoco amico” dei commilitoni è il pericolo più subdolo[15]. È il male che colpisce dal di dentro[16]; e, come dice Cristo, «ogni regno diviso in se stesso va in rovina» (Lc11,17).

    15. E l’ultima: la malattia del profitto mondano, degli esibizionismi[17], quando l’apostolo trasforma il suo servizio in potere, e il suo potere in merce per ottenere profitti mondani o più poteri. è la malattia delle persone che cercano insaziabilmente di moltiplicare poteri e per tale scopo sono capaci di calunniare, di diffamare e di screditare gli altri, perfino sui giornali e sulle riviste. Naturalmente per esibirsi e dimostrarsi più capaci degli altri. Anche questa malattia fa molto male al Corpo, perché porta le persone a giustificare l’uso di qualsiasi mezzo pur di raggiungere tale scopo, spesso in nome della giustizia e della trasparenza! E qui mi viene in mente il ricordo di un sacerdote che chiamava i giornalisti per raccontare loro – e inventare – delle cose private e riservate dei suoi confratelli e parrocchiani. Per lui contava solo vedersi sulle prime pagine, perché così si sentiva potente e avvincente, causando tanto male agli altri e alla Chiesa. Poverino!

    Fratelli, tali malattie e tali tentazioni sono naturalmente un pericolo per ogni cristiano e per ogni curia, comunità, congregazione, parrocchia, movimento ecclesiale, e possono colpire sia a livello individuale sia comunitario.

    Occorre chiarire che è solo lo Spirito Santo – l’anima del Corpo Mistico di Cristo, come afferma il Credo Niceno-Costantinopolitano: «Credo… nello Spirito Santo, Signore e vivificatore» – a guarire ogni infermità. È lo Spirito Santo che sostiene ogni sincero sforzo di purificazione e ogni buona volontà di conversione. È Lui a farci capire che ogni membro partecipa alla santificazione del corpo e al suo indebolimento. È Lui il promotore dell’armonia[18]: «Ipse harmonia est», dice san Basilio. Sant’Agostino ci dice: «Finché una parte aderisce al corpo, la sua guarigione non è disperata; ciò che invece fu reciso, non può né curarsi né guarirsi»[19].

    La guarigione è anche frutto della consapevolezza della malattia e della decisione personale e comunitaria di curarsi sopportando pazientemente e con perseveranza la cura[20].

    Dunque, siamo chiamati – in questo tempo di Natale e per tutto il tempo del nostro servizio e della nostra esistenza – a vivere «secondo la verità nella carità, [cercando] di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità» (Ef4,15-16).

    Cari fratelli!

    Una volta ho letto che i sacerdoti sono come gli aerei: fanno notizia solo quando cadono, ma ce ne sono tanti che volano. Molti criticano e pochi pregano per loro. È una frase molto simpatica ma anche molto vera, perché delinea l’importanza e la delicatezza del nostro servizio sacerdotale e quanto male potrebbe causare un solo sacerdote che “cade” a tutto il corpo della Chiesa.

    Dunque, per non cadere in questi giorni in cui ci prepariamo alla Confessione, chiediamo alla Vergine Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa, di sanare le ferite del peccato che ognuno di noi porta nel suo cuore e di sostenere la Chiesa e la Curia affinché siano sane e risanatrici, sante e santificatrici, a gloria del suo Figlio e per la salvezza nostra e del mondo intero. Chiediamo a Lei di farci amare la Chiesa come l’ha amata Cristo, suo Figlio e nostro Signore, e di avere il coraggio di riconoscerci peccatori e bisognosi della sua Misericordia e di non aver paura di abbandonare la nostra mano tra le sue mani materne.

    Tanti auguri di un santo Natale a tutti voi, alle vostre famiglie e ai vostri collaboratori. E, per favore, non dimenticate di pregare per me! Grazie di cuore!

    [1] Egli afferma che la Chiesa, essendo mysticum Corpus Christi, «richiede anche una moltitudine di membri, i quali siano talmente tra loro connessi da aiutarsi a vicenda. E come nel nostro mortale organismo, quando un membro soffre, gli altri risentono del suo dolore e vengono in suo aiuto, così nella Chiesa i singoli membri non vivono ciascuno per sé, ma porgono anche aiuto agli altri, offrendosi scambievolmente collaborazione, sia per mutuo conforto sia per un sempre maggiore sviluppo di tutto il Corpo … un Corpo costituito non da una qualsiasi congerie di membra, ma deve essere fornito di organi, ossia di membra che non abbiano tutte il medesimo compito, ma siano debitamente coordinate; così la Chiesa, per questo specialmente deve chiamarsi corpo, perché risulta da una retta disposizione e coerente unione di membra fra loro diverse» (Enc. Mystici Corporis, Parte Prima:AAS35 [1943], 200).

    [2] CfrRm12,5: «Così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri».

    [3] Cost. dogm. Lumen gentium, 7.

    [4] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 795. Da ricordare che «il paragone della Chiesa con il corpo illumina l’intimo legame tra la Chiesa e Cristo. Essa non è soltanto radunata attorno a Lui; è unificata in Lui, nel suo Corpo. Tre aspetti della Chiesa-Corpo di Cristo vanno sottolineati in modo particolare: l’unità di tutte le membra tra di loro in forza della loro unione a Cristo; Cristo Capo del corpo; la Chiesa, Sposa di Cristo» (ibid. n. 789).

    [5] Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 130-131.

    [6] Gesù più volte ha fatto conoscere l’unione che i fedeli debbono avere con Lui: «Come il tralcio non può portare frutto da sé stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimarrete in me. Io sono la vite, voi i tralci» (Gv 15, 4-5).

    [7] Cfr Cost. ap. Pastor Bounus, art. 1; CIC, can. 360.

    [8] Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 197-201.

    [9]Benedetto XVI, Catechesi nell’Udienza generale, 1 giugno 2005.

    [10] Omelia nella S. Messa, Istanbul, Cattedrale dello Spirito Santo, 29 novembre 2014.

    [11] Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 95-96.

    [12] Cfr ibid, 84-86.

    [13] Cfr ibid, 2.

    [14] «Signore, donami una buona digestione e anche qualcosa da digerire. Donami la salute del corpo e il buon umore necessario per mantenerla. Donami, Signore, un’anima semplice che sappia far tesoro di tutto ciò che è buono e non si spaventi alla vista del male, ma piuttosto trovi sempre il modo di rimetter le cose a posto. Dammi un’anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri, i lamenti, e non permettere che mi crucci eccessivamente per quella cosa troppo ingombrante che si chiama “io”. Dammi, Signore, il senso del buon umore. Concedimi la grazia di comprendere uno scherzo per scoprire nella vita un po’ di gioia e farne parte anche agli altri. Amen».

    [15] Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 88.

    [16] Il beato Paolo VI, riferendosi alla situazione della Chiesa, affermò di avere la sensazione che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio» (Omelia nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 29 giugno 1972); cfr. Esort. ap. Evangelii Gaudium, 98-101.

    [17] Cfr Esort. ap. Evangelii Gaudium, 93-97 («No alla mondanità spirituale»).

    [18] «Lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa. Eglidà la vita,suscitai differenti carismi che arricchiscono il Popolo di Dio e, soprattutto,crea l’unità tra i credenti: di molti fa un corpo solo, il Corpo di Cristo … Lo Spirito Santo fa l’unità della Chiesa: unità nella fede, unità nella carità, unità nella coesione interiore» (Omelia nella Santa Messa, Istanbul, Cattedrale dello Spirito Santo, 29 novembre 2014).

    [19] Serm., CXXXVII, 1: PL, XXXVIII, 754.

    [20] Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 25-33 («Pastorale in conversione»).

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