Qui di seguito un saggio sull’allucinogeno psilocibina, principio attivo dei cosiddetti funghi magici, scritto dal medico, psichiatra e psicoanalista Elvio Fachinelli (1928-1989) e pubblicato nel 1989, anno della sua morte.
Fachinelli fu il terzo traduttore in italiano nel 1971 de ‘L’Interpretazione dei Sogni’ (1899) di Sigmund Freud – con la moglie Herma Trettl, firmandosi con lo pseudonimo di Elvio Luserna – per la casa editrice Boringhieri di Torino che pubblicava per la prima volta in italiano l’opera completa di Freud. Il primo traduttore fu Roberto ‘Bobi’ Bazlen – uno dei fondatori della casa editrice Adelphi – nel 1952, per Astrolabio di Roma.
Il saggio ‘Amica psilo’ di Fachinelli fu pubblicato nel 1989 proprio dalla casa editrice Adelphi, nella raccolta di saggi ‘La Mente Estatica’.
Fachinelli scrisse anche molto su temi politici, si veda ad esempio Al cuore delle cose. Scritti politici (1967-1989) – 2016, DeriveApprodi.
La psilocibina è stata di recente approvata nel 2023 insieme all’MDMA o ecstasy come trattamento medico dall’agenzia regolatoria australiana e sara’ approvata – come anticipato su PsyPolitics dal 2020 ad esempio in questo seminario (Da cittadini a pazienti: una minaccia a cui resistere (2020) – PsyPolitics) e in questo articolo che includeva due scoop giornalistici per l’Italia (Gli allucinogeni entrano in borsa (e non solo): svolta negli Usa – ilGiornale.it (2020) – PsyPolitics) – anche negli Stati Uniti dalla Food and Drug Administration (FDA).
Si veda anche a questo proposito La “rivoluzione ultima”. L’ultima rivoluzione sarà psichedelica e avrà a che fare con le droghe. La profezia di Aldous Huxley (2019) – PsyPolitics.
L’enfasi in neretto e i link sono stati aggiunti, il maiuscolo e il corsivo sono nell’originale.
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AMICA PSILO
[Resoconto di alcune assunzioni, a dosi di 4-10mg, di psilocibina Sandoz, uno dei principi attivi del teonanacatl, il “fungo sacro” messicano, isolati da Hoffmann (sic). A. Hoffmann et al., in “Experientia”, 14, 1958, pp. 107-109].
In me la psilocibina, come un bambino piccolo, guarda ogni cosa con eguale stupore. Ogni cosa è in se stessa, isolata, staccata da tutto il resto. In una sfera. Il mio sguardo è questa sfera.
Corpo sorpreso, disorientato. Prima pesante, slogato in parti di diversa gravità. E sformato. Poi attutito, lontano. Poi vibrante in lunghe ondate, corda oscillante. Accentuazione, tensione verso… Tremore, tremore come promessa di qualcosa che verrà, non conosciuto. Tremore di oltrepassamento.
Mi sento come invitato a “entrare”. Invischiato dalla forza di ciò che guardo, anche a occhi chiusi, o che ascolto. Addentramento lento, sinuoso, a gorghi, a volute. Dispiegamento di ricchezza, barbagli, pagliuzze, tessitura finissima. Ma dispiegamento dove?
In certi punti, qualcosa, qualunque cosa, sta senza tempo, e io la guardo stare.
Ma io è soltanto lo sguardo della cosa che sta, suo modo di essere nella luce.
Quell’albero è un essere vivo, vivo essere tremante oscillante nel vento, gomitolo che gioca con l’aria in miriadi di batuffoli. Vibrazione di ogni mia nervatura.
Gioia dell’essere questo. E gioia, certezza improvvisa che l’oscillare di quel ramo è già l’andare in altalena. L’una cosa è l’altra, direttamente.
Ascoltare il silenzio come filtro di luce, come fruscii del mondo di erbe e foglie. Le voci degli esseri animali irrompono come una lacerazione brusca, orrenda.
Il piccolo, il limitato, si rivela inesauribile, infinitamente ricco. Diventa totale. Null’altro al di là – se non quando, con un movimento a onde, mi trovo fuori, di nuovo io.
Quel tavolo carico di libri e carte è ora irto, troppo fitto, faticoso. La libreria diventa una struttura minacciosa. Quell’orologio, indifferente, è un personaggio buffo, risibile, e infatti rido, rido, non smetto di ridere.
Differenza rispetto ad altre ‘droghe’ – che gettano in un infinito galoppante, turbolento. Qui un addentramento lento, per piccoli spostamenti – oppure, ed è lo stesso, occhi che via via si aggiungono, altre visioni convergenti.
Non si tratta di ‘tagliare’ col mondo, con la realtà, violentemente. Per me, basta spostare dei fili, dei legami, come si spostano i rami di un albero per vedere il mare, una radura.
Lo spicco, lo splendore di ogni cosa nasce dalla sospensione dei suoi collegamenti – nel tempo, nello spazio, nell’ordine causale. Un rumore mi sorprende e mi fa sobbalzare, imprevisto, solitario: eppure è quello, familiare, di una porta che sbatte.
Ma il resto del mondo cerca di interferire, di interrompere – finché diventa a sua volta un nuovo elemento del tutto. Il fastidio di un motore agricolo è ora la vibrazione di un calabrone.
Splendore profondo, sontuoso, dei colori, dei suoni. Non più accompagnamento, sostegno delle cose. Sono la loro anima nuova, venature profonde diventate ora visibili. Offerte.
Nella musica, soltanto voci. Ogni strumento voce. E ogni voce, gorgo, golfo inquietante per volute sorprendenti, che si caricano di colori (i colori al posto dei ‘sentimenti’). Mozart, ora, come una cascata di perle su uno specchio. Wagner rosso-purpureo.
Oppure la musica come vibrazione della pelle, dei muscoli, flusso vibrante che tende a un eccesso, che aspetta un eccesso. La voce umana è per il canto e oltre il canto, attesa di godimento.
Sensualità di punti onda emergenti a migliaia, contemporaneamente, campo di grano sfiorato dal vento. La sessualità deriva in una corrente più ampia, si scioglie. Attesa di un orgasmo liquido, come un brivido d’acqua lungo, senza fine, intenso. Irradiato senza centro d’irradiazione. Immagini erotiche, parti del corpo succhianti e insieme icone immobili, distanti.
Allontanamento dalla parola. Dando un nome, esco. Dopo un brano musicale dico (qualcuno dice) meccanicamente, da altrove, “applausi”, e mi separo con dolore dalla risacca del mare.
Esperienza non sempre di gioia. A tratti, immediatamente spaventosa. Aprendo gli occhi, la frangia scucita di una stuoia è un granchio pericoloso.
Costante sorpresa di fronte all’orologio – dubbio che si sia fermato, com’è possibile che sia passato così poco tempo. Vivo fitto, a lamine sottili sovrapposte, ogni lamina punteggiata di innumeri emozioni che si susseguono diverse, senza tregua.
Talvolta insensibilmente, s’impone l’evidenza di una scoperta significativa, addirittura decisiva – emergente come un dono imprevisto, un’offerta in cui si schiude l’intera situazione.
Chi offre? Soltanto più tardi riconosco il donatore: è il pensiero, la fantasia stessa in cui s’incarna la scoperta. Ma prima, essa si rivelava, sorgeva da ogni punto.
Significato ambiguo di questa scoperta. La sua evidenza, prima assoluta, poi cade, risulta falsa. Oppure non cade, resiste alla critica. Processo di ogni ‘scoperta’?
Allo stesso modo, l’accostamento di due oggetti ha ora un senso che colgo con intensa partecipazione, con affetto, con odio, con derisione. E solo più tardi, a distanza, lo riconosco come casuale, come indifferente, e me ne vergogno.
In una fase inoltrata, a occhi chiusi, gioia e sgomento e certezza di aver raggiunto l’essenziale, dentro una sontuosità oro-rosso-porpora in lieve movimento, non vibrante propriamente, cortina che lievemente si sposta, e le grida prima fastidiose di bambini sono lunghe sottili strisce sanguigne sull’orlo di un abisso sul cui fondo passivamente percorro caverne? portici? luminosi templi? d’oro e sangue. Splendore della vita, pulsare della vita – nel suo fondo senza centro, tutto centro. Qui sono lontano dalla sorpresa iniziale, dai colori e dai suoni. E anche lontano da quell’addentramento minuzioso dove ero ramo, foglia, nervatura. Sono in un percorso, sono percorso affascinante affascinato, verso il cui sbocco, ma non c’è sbocco, sono trascinato, riluttante, vittima forse di un sacrificio di sangue.
È così imparata una via, per sempre? In seguito si tratterà solo ritrovarla? Superfluità, allora, delle droghe?
In ogni caso – riconoscere il cambiamento, l’ampliamento, il salto. Facile. Più difficile, forse, riconoscere la propria abituale ottusità, cecità, de-limitazione.
Non grande esperienza: piccola. Un filo d’erba è l’infinito. Formicolio della vita – non abolito, moltiplicato.
(Più tardi).
I temuti flashback degli allucinogeni: ritorni di ciò che si è provato sotto il loro effetto qualche tempo dopo, in piena “sobrietà”. Come una via ormai tracciata – ritrovata.
Le droghe nel mondo moderno come esperienza privata, senza rito-iniziazione (se non strettamente individuale; si veda Walter Benjamin, nel filone che parte da Baudelaire). Senza quindi limitazione. Assorbite in una logica di iperconsumo, ‘ancora’, ‘ancora’, ‘anche’, ‘anche’… Donde i disastri. Per contrasto, la ricerca di Artaud: “… bere Ciguri è appunto non superare la dose, perché Ciguri è l’Infinito, e il mistero dell’azione terapeutica dei rimedi è legato alla proporzione in cui li prende il nostro organismo. Superare il necessario è SACCHEGGIARE l’azione”. [Antonin Artaud, Al paese dei Tarahumara e altri scritti, Adelphi, Milano, 1955, p.139].
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[Nella foto in alto, Elvio Fachinelli e Jacques Lacan a Roma nel 1969, foto di Lisetta Carmi]
Last Updated on March 5, 2023 by Federico Soldani
Great analysis of the issue and role of economics and media.
Thanks much Victor, truly appreciated. Did you mean to comment not this one on Fachinelli (still on psilocybin by the way) but the latest article about hallucinogens hype ? Kind regards, Federico
https://psypolitics.org/2023/04/05/hallucinogens-antidepressants-hype-cubed-2023/