Somalia, un caso di depressione da reserpina (2010)

di Federico Soldani

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(Pubblicato originariamente nel marzo 2010 per il blog RCS – Rizzoli Corriere della Sera – OK La Salute Prima di Tutto. Link originale non più disponibile)

Nell’estate 1978 uno studente dell’Università Nazionale Somala di Mogadiscio (la cooperazione Italia-Somalia era molto attiva) che frequentava il corso di Farmacologia tenuto da mio padre quell’anno, sapendo che il professore del corso era un medico gli chiese se poteva recarsi a casa sua per visitare il padre. 

L’uomo infatti da qualche tempo versava in cattive condizioni di salute.  In quegli anni la Somalia era in guerra con l’Etiopia, i pochi medici erano impegnati a curare i feriti di guerra ed era quindi difficile disporre di assistenza sanitaria sul territorio.

Recatosi a casa dello studente, mio padre fu subito colpito dall’atteggiamento del paziente che se ne stava rannicchiato in posizione fetale in un angolo di una stanza semibuia e che rispondeva con difficoltà e grande fatica alle domande.  Il paziente appariva fortemente depresso, apatico, disidratato con pressione arteriosa massima inferiore a 100 millimetri di mercurio e frequenza cardiaca elevata (90-100 battiti al minuto). 

Lo studente riferì che l’uomo era affetto da diarrea cronica – condizione clinica frequente nei paesi africani – e da uno stato d’indifferenza affettiva che lo aveva portato a rinunciare a un pellegrinaggio a La Mecca sponsorizzato dall’Arabia Saudita (voli charter partivano regolarmente da Mogadiscio). 

Il pellegrinaggio a La Mecca è il quinto pilastro dell’Islam e ogni musulmano ha l’obbligo di recarsi a La Mecca almeno una volta nella vita, se i suoi mezzi lo consentono.  Il rifiuto del padre aveva particolarmente colpito il ragazzo che per questo aveva richiesto la visita.

Dopo aver escluso un’eventuale familiarità e possibili cause di depressione reattiva, mio padre chiese se il paziente avesse in corso una terapia per altre condizioni patologiche.  Dopo poco lo studente entrò nella stanza portando con se un flacone di Serpasil® (reserpina), consigliata da un medico due anni prima in seguito al riscontro di uno stato ipertensivo (il farmaco oggi non è più indicato).  Il paziente aveva continuato a prendere questo farmaco senza interruzione e senza ulteriori controlli della pressione arteriosa andando incontro a uno stato di cosiddetta “reserpinizzazione”, di cui la diarrea e la depressione psichica erano gli effetti più marcati.

Questo stato è simile alla reserpinizzazione che viene praticata sperimentalmente in laboratorio per azzerare il tono simpatico del sistema nervoso vegetativo.  La reserpina causa un impoverimento di sostanze quali nor-adrenalina, dopamina e serotonina nei granuli sinaptici delle cellule nervose, i neuroni, dove si accumulano le molecole necessarie affinché le cellule nervose siano in grado di comunicare: queste sostanze si chiamano neurotrasmettitori.

La terapia con reserpina venne subito interrotta: il paziente a un mese dalla sospensione era sì migliorato, ma non aveva ancora ripreso un comportamento del tutto normale.  Nel frattempo il periodo di insegnamento era finito e mio padre tornò in Italia, ancora con il dubbio se la ripresa fosse poi stata davvero completa.

Last Updated on September 21, 2020 by Federico Soldani

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