di Federico Soldani
(Pubblicato originariamente nel dicembre 2009 per il blog RCS – Rizzoli Corriere della Sera – OK La Salute Prima di Tutto. Link originale non più disponibile)
In questi giorni negli Stati Uniti si torna a parlare dell’epidemia di disturbo da deficit di attenzione e iperattività (abbreviato in inglese come ADHD, Attention Deficit and Hyperactivity Disorder) tra i giocatori della serie A del baseball, la Major League statunitense (nella foto lo stadio Fenway Park, Boston). Una vera e propria epidemia che ha visto il numero di giocatori “malati” salire anche quest’anno e quasi del 300% dal 2006 (solo 28 giocatori) al 2009 (108 giocatori), con il salto più consistente nel 2007. Per incredibile che possa sembrare, circa il 10% tra i giocatori professionisti di uno sport in cui l’attenzione è essenziale per vincere ha ricevuto negli ultimi anni una diagnosi psichiatrica di ADHD. Un dato che potrebbe addirittura avviare un’inchiesta del Congresso.
Come si spiega questo fenomeno apparentemente bizzarro? Quando una dignosi psichiatrica aumenta fortemente in un certo gruppo o popolazione ci sono diverse spiegazioni possibili. Tra queste l’aumento delle cause del disturbo, la maggiore consapevolezza di malattia, il ridotto stigma (riprovazione sociale), il migliorato accesso ai servizi sanitari, il cambiamento dei criteri per la diagnosi o più semplicemente quella che si può definire “moda diagnostica” (si parla di più di un certo disturbo tra gli specialisti e viene preferita quella diagnosi anziché altre simili o confinanti).
Spiegazioni che però non giustificano l’entità e la rapidità dell’epidemia di ADHD tra i giocatori della Major League.
La lettura della notizia mi ha fatto tornare alla mente la reazione che ebbi la prima volta che da studente sentii parlare dell’ADHD, diversi anni fa. La diagnosi include problemi cognitivi di attenzione accompagnati dalla tendenza all’iperattività, interessa soprattutto infanzia e adolescenza e prevede tra le possibilità di cura l’uso di farmaci stimolanti quali le amfetamine (nomi commerciali Adderall, Ritalin, ecc.).
Una terapia controintuitiva: come è possibile, pensai, che non si diano dei sedativi ma il loro esatto contrario, degli stimolanti? Inoltre, come è possibile che, diversamente da depressione o disturbo bipolare, non si conoscano descrizioni storiche (non giustificate da una malattia quale una grave infezione cerebrale), dell’800 e prima ancora, di questo problema psichiatrico chiamato oggi ADHD?
Pensai si trattasse, più che di una malattia per la quale serve una cura, piuttosto di una condizione di scompenso dovuta alle troppe domande e agli stimoli eccessivi che arrivano ai ragazzi dal mondo esterno e a cui si fa fronte con una sorta di doping della vita quotidiana, gli psicostimolanti, anziché fare prevenzione rallentando i ritmi di vita. Stiamo forse curando i sani per aumentarne la performance? Allora l’idea mi parve talmente eterodossa da non meritare ulteriore riflessione.
Sotto questa etichetta, ADHD, possono rientrare casi tra loro molto eterogenei. L’epidemia di ADHD nel baseball americano però ci mostra come il disturbo non si possa spiegare in termini puramente medici ma necessiti di una spiegazione anche sul piano sociale. In altre parole svela che la diagnosi psichiatrica, in casi come questo, non è una diagnosi puramente medico-biologica. Sarebbe altrettanto facile per i giocatori di baseball ricevere una diagnosi di infarto del miocardio o di linfoma di Hodgkin?
Nel 2006 amfetamine e stimolanti sono stati inseriti nella lista delle sostanze vietate dalla Major League del baseball statunitense e l’unico modo lecito che hanno i giocatori per farne uso è diventato l’esenzione su base “terapeutica”.
Last Updated on September 24, 2020 by Federico Soldani